
Sono strani, i ragazzi
Arrivano, e si siedono in fondo. La platea è vuota: ci sono posti in prima, seconda, terza fila, ma loro, immancabilmente, si siedono in fondo. E allora i colleghi a chiedere, supplicare, minacciare per riempire le prime file. Poi, per un’ora abbondante, non fiatano. Seguono ogni singolo passaggio, applaudo, ridono, si lasciano stupire e affascinare, ma, soprattutto, si allungano per vedere meglio, quelli in ultima fila. Sono strani, i ragazzi.
Due giorni fa ero nel bresciano, per una doppia replica di una conferenza spettacolo sulla relatività ristretta, e questo atteggiamento è stato più marcato di altre volte. Tanto che in chiusura del dibattito[1] glielo chiedo: “Ma perché vi rintanate sempre nelle ultime file?”.
Silenzio.
La risposta è arrivata dopo che ci siamo salutati da parte di una ragazza di 18 anni che mi si è avvicinata, timidamente, mentre spegnevo il pc, per condividere con me la sua giustificazione: “Pensavamo fosse la solita lezione di fisica, e invece…”. E, nel suo sguardo, uno dei più bei complimenti degli ultimi tempi.
Ora però, a mente fredda, vorrei aggiungere qualche osservazione.
Figli di nessuno – Ricordo ancora quando facevo l’animatore alle feste di compleanno. A dire il vero non l’ho mai fatto in senso letterale, non facevo cioè giocare i bambini né tantomeno li badavo. Arrivavo prima dell’arrivo degli invitati, allestivo un piccolo teatro, obbligavo bambini e genitori a sedersi e “regalavo loro” un’ora di spettacolo[2], poi, mentre mangiavano la torta e aprivano i regali, un palloncino per ogni bambino e via che scappavo verso nuove avventure! Un esercizio meraviglioso! Perché tenere fermi 25 bambini di 7-10 anni per un’ora è una delle cose più difficili che ci sia! Se non sei divertente, interessante, spettacolare, mica te lo vengono a dire. Si alzano, chiacchierano, urlano… Probabilmente tanto del mio stare sul palco (o in cattedra) oggi deriva da quegli anni di gavetta. Bene, i bambini che mi davano più problemi (per fortuna rari) non erano quelli con i genitori tra il pubblico, né tantomeno quelli “passiamo a riprenderli alle 17, 17e30?”, quanto piuttosto quelli con papà e/o mamma presenti, ma che si erano rifiutati di stare con noi e chiacchieravano liberamente in un angolo della sala. “Se i miei genitori ci sono e non ti ascoltano, perché dovrei farlo io? Se mamma e papà non mi sgridano, chi sei tu per dirmi di non alzarmi e correre e urlare mentre giochi con tre coltelli in equilibrio su una valigia, che è su un cilindro, che è su un baule, che alla fiera mio padre comprò?”. E come dargli torto? Le mele non cadono mai molto lontano dall’albero. E questo è vero tanto per i genitori, quanto per gli insegnanti. Spesso i ragazzi che “danno problemi”, alle conferenze-spettacolo, sono quelli i cui docenti non si interessano (né a loro, né al mio lavoro) e passano magari il tempo con gli occhi fissi sullo schermo dello smartphone. Negli anni mi è capitato di vederne anche abbandonare la classe per andare a fumare, o assentarsi per tutta l’ora perché “tanto io di matematica non so nulla, che ci sto a fare lì dentro?”. Che tristezza. Per fortuna sono una stretta minoranza.
Vivere nel presente – Abbiamo tutti universi meravigliosi, dentro. Dobbiamo darci il tempo per lasciargli emergere, per trovare le parole per esprimerli, per dargli forma. Se non impariamo a vivere il presente davvero, nel qui e ora, questo diventa impossibile. Dobbiamo quindi, per esempio, imparare a spegnere il cellulare, perché anche il solo buttare un occhio alle notifiche o per guardare l’ora (vedendo poi magari che si sono notifiche) spezza il flusso di pensieri e proietta in un altrove impedendo di assorbire, da ciò che stiamo vivendo, il massimo. Questo è vero a teatro, in classe, quando si studia o a cena con gli amici… E non fatemi parlare di quelli che vengono a teatro col libro di latino per ripassare “perché l’ora dopo interroga” … buuuuuu! Pessimi.
Il beneficio del dubbio – Forse è vero, capita che le lezioni, a scuola, non siano entusiasmanti (ed è giusto che sia anche così) e purtroppo c’è tanta roba, in giro, che non merita (intendo spettacoli raffazzonati, conferenze incomprensibili, relatori col carisma di Ciccio di Nonna Papera – e, in questo caso, la colpa è ancora una volta di noi docenti, che non ci preoccupiamo prima di capire cosa stiamo offrendo ai nostri alunni), però, ragazzi, non potete arrendervi a tutto questo! Dovete pretendere di più e di meglio, ma, soprattutto, dovete dare credito a chi sale su un palco. Venire cioè in sala per “ascoltare cosa ci vogliono raccontare”, senza perdere la voglia di scoprire, vivere e godersi la performance (spettacolo, conferenza o lezione che sia), riservandoci il diritto di lamentarci poi in chiusura se non siamo soddisfatti. Perché se si parte prevenuti o, peggio, remando contro, corriamo il rischio di rovinare il lavoro di chi è lì per noi o di non godercelo davvero e appieno. E poi, a volte, è il finale a dare senso al percorso. Non so se avete mai letto L’amico ritrovato: un libro che ho odiato e faticato a leggere sino alla fine. E se non fosse stata una ragazza con la quale ci stavo provando, a consigliarmelo, forse non lo avrei neppure terminato. Poi l’ultima pagina e tutto ha preso senso: uno dei libri più belli che abbia mai letto! E la stessa cosa per Il lungo addio (n. 74 di Dylan Dog). Ecco, alcuni spettacoli, lezioni e conferenze, sono così: prendono senso solo se vissute sino alla fine. Quindi, più fiducia, che diamine! Fatevi prendere per mano con la voglia di viverla, quell’ora, sino in fondo.
…anche se non avere aspettative è il modo migliore per non rimanere delusi, forse non è il modo migliore di vivere.
[1] Sempre, al termine delle performance, ritaglio del tempo per parlare col pubblico: dopo aver assistito a qualcosa “di figo” con un tizio, lì, sul palco, che sembra essere felice e realizzato del suo lavoro, è più ricettivo e disposto all’ascolto e al confronto. Che siano ragazzi o adulti.
[2] Nella convinzione che fosse bello, per loro, “condividere” quel momento.
Come non condividere praticamente ogni parola?
Per quel che riguarda il fatto che è spesso il finale a dare “il vero senso” delle cose, nei miei seminari leggevo spesso quel meraviglioso racconto breve di Fredric Brown, “Sentinella”… Micidiale, da quel punto di vista.
Mi piacerebbe venire ad assistere ad una delle tue “conferenze-spettacolo”, prima o poi. Se una volta passi da queste parti, e se possono assistere anche “spettatori esterni”, non necessariamente studenti dei licei…
Grazie di tutto.
Grazie.
..e, se trovi una data “interessante”, dimmi qualcosa. Potresti essere “ospite”