Quale posto ha Dio nelle teorie fisiche?

5 Marzo 2019

Quale posto ha Dio nelle teorie fisiche?

Quale rapporto hanno i fisici con Dio? Come lo inquadrano nelle loro teorie?”. Non ricordo se le parole siano state davvero queste, ma questo il senso di una domanda che pochi giorni fa[1], al termine di uno dei miei lavori[2], un collega mi ha posto. In realtà il mio lavoro non tocca tematiche simili, ma quando, durante il dibattito finale un ragazzo ha posto una domanda sulle teorie a molti mondi e il multiverso (ma noi, alla loro età, eravamo così informati?) mi son trovato a riflettere anche sulla possibilità che la vita intelligente si sviluppi sino al nostro livello (almeno). “In un solo Universo resta, a quanto ne sappiamo, bassa. Ma in un Multiverso, se i “tentavi” fossero davvero un’infinità, la possibilità, per il teorema dei grandi numeri, tenderebbe rapidamente a uno”. Pensavo con quelle parole di aver chiuso con eleganza la questione, nella speranza di tornare ai lidi più sicuri dell’effetto gemelli[3], del significato di E = m c 2, o dell’interpretazione ontologica della relatività speciale. …e invece…

Le righe che seguono per condividere con voi la risposta data, arricchendola magari di dettagli o citazioni, nella speranza che vogliate dare il vostro contributo, dicendo come la vivete, in un sereno confronto. Risposta, ci tengo a sottolinearlo, improvvisata e data a bruciapelo! Ma d’altronde è colpa mia: a fine di ogni intervento dichiaro sempre che risponderò a qualsiasi domanda…

Innanzitutto non c’è e non c’è mai stato, ovviamente, accordo sul tema. Per fede, convinzione, motivi politici o interessi altri, teorici e sperimentatori si sono, nel corso dei secoli così come negli ultimi anni, riconosciuti un po’ in tutte le posizioni: dai ferventi credenti agli agnostici se non addirittura atei, passando tra chi si è fatto bruciare al rogo pur di non abiurare nonostante la grande fede[4], chi ha abiurato per evitarlo, il rogo, nonostante non avesse poi tutta questa simpatia per la chiesa[5], chi si è fatto influenzare da culture orientali[6] e chi ha aggiunto un appendice, in seconda edizione del suo lavoro, per evitare di essere accusato di aver “pensato” a un Dio “orologiaio”[7]: un Creatore, cioè, che si era limitato a costruire tutto, ma il cui tutto poteva tranquillamente “vivere” senza bisogno del creatore stesso. Nell’appendice a cui faccio cenno (un vero e proprio volume aggiuntivo ai Principia: Scolio Generale) furono presentati spazio assoluto e tempo assoluto come prova dell’esistenza di Dio.

Ma senza bisogno di andare tanto indietro, tra i contemporanei ricorderei l’italianissimo Zichichi e il compianto Hawking.

Zichichi

Il primo, autore del libro “Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo[8], crede fermamente nell’esistenza di Dio tanto da arrivare a dichiarare, in chiusura del testo citato “Siamo fatti di minuscole quantità di spazio-tempo-massa-energia-cariche; queste minuscole quantità sono riuscite a formulare una sintesi rigorosa di tutti i fenomeni galileianamente riproducibili che vanno dal cuore di un protone ai confini del Cosmo: ben oltre il limite della realtà in cui viviamo e di cui siamo fatti. […] Del senso di Eternità, Mistero e Spiritualità della vita nessuno riuscirà a dimostrare l’esistenza tramite un’equazione matematica o scoperta scientifica di stampo galileiano, per il semplice motivo che Eternità, Mistero e Spiritualità fanno parte della sfera Trascendentale delle nostre esperienze”. Arriva cioè a distinguere nettamente Immanente e Trascendente, relegando la scienza al primo campo dell’esistenza.

Hawking

Di tutt’altro avviso il professore di Cambridge, autore, tra l’altro, di “Le mie risposte alle grandi domande[9]. Nel capitolo “Esiste un dio?”, scrive: “Quando la gente mi chiede se l’universo sia stato creato da un Dio, rispondo che la domanda stessa non ha senso: prima del Big Bang il tempo non esisteva e, di conseguenza, non c’è un tempo in cui Dio possa aver plasmato l’universo. È come chiedere da che parte bisogna andare per giungere ai confini della Terra: essendo una sfera, e in quanto tale non avendo confini, cercarli è uno sforzo inutile. Io ho fede? Ognuno di noi è libero di credere quello che vuole, anche se a mio avviso la spiegazione più semplice è che non esiste alcun Dio. Non c’è nessuno che abbia creato l’universo o che manovri il nostro destino[10]. Il che mi conduce ad un’altra consapevolezza: che, probabilmente, non ci sono nemmeno un paradiso o un’altra vita dopo la morte. Per me, la fede nell’aldilà è soltanto un pio desiderio. […] Abbiamo solo questa vita per apprezzare il grande disegno dell’universo, ed è una possibilità per cui sono estremamente grato”.

Penso che il suo pensiero sia chiaro e ben espresso, ma mi permetto di aggiungere un aneddoto che amo e che, ogni volte che ripenso, mi fa sorridere. Quando Napoleone chiese a Simon de Laplace che posto avesse Dio nel suo sistema, leggenda vuole che replicò: “Sire, non ho avuto bisogno di prendere in considerazione questa ipotesi”.

Come dicevo, tra le due posizioni, infinite sfumature di grigio. Non c’è quindi una posizione dei fisici verso Dio. Ma, a tutto questo, vorrei aggiungere due riflessioni che penso aiutino trovare una linea, che, personalmente, condivido. Quindi, non avendo La risposta, posso dare la mia risposta…

Innanzitutto i fisici hanno fede nelle leggi della natura: espressione matematica delle regolarità, delle simmetrie e della bellezza del mondo. Leggi che permettono di prevedere e descrivere, in un’ottica di unitarietà del “creato”. Non so se si arriverà mai a formulare una “teoria del tutto”, comprensiva delle sue stesse ipotesi come lo stesso Hawking più volte ha suggerito di “vedere” (o sperar di vedere?), o se resterà sempre un “non compreso”: parte di mondo che non si riesce a spiegare. Sempre più piccola via via che il progresso scientifico avanza, ma sempre infinitamente frammentabile! Impercorribile, per intero, come in un eterno paradosso di Zenone. Ma, indipendentemente da quale sarà il futuro della Scienza (dei due, uno), se anche esistesse un Dio un fisico, non può credere le leggi della natura siano modificabili a suo piacimento. Per dirlo con le parole di Hawking “una legge scientifica non sarebbe tale se risultasse valida solo quando un essere sovrannaturale decida di non immischiarsi e lasciare che le cose seguano il loro corso”[11].

Richard dawkins

Seconda riflessione: la risposta alla domanda iniziale cambia fortemente in funzione di cosa si intende per “Dio”? Credo, come sottolinea Richard Dawkins in L’illusione di Dio[12] (sottotitolo, le ragioni per non credere… libro la cui lettura consiglio a tutti! Soprattutto se interessati alla domanda che mi ha spinto a scrivere queste righe), che quando si parla di creatore, con la tipica tendenza ad antropomorfizzare, gli si attribuisca una volontà, l’idea di un progetto, il disegno. Bene, in questo caso io fatico a credere. Mi sembra, come sostiene Hawking, la scelta facile ma al tempo stesso l’ipotesi più fantasiosa che Occam non esiterebbe a tagliare. Credere che esista a priori, con un’idea di mondo e di universo, con la voglia e l’intelletto di scrivere la leggi della natura in questo modo, con un progetto per ogni cosa del creato e la possibilità di sovvertirne le regole a piacimento, un Dio giudice, paterno, amorevole, vendicativo… no: a questo io non credo. Anche se, se mai esistesse e avessi occasione di parlargli, mi piacerebbe sapere perché, le leggi della natura, le ha scritte proprio così…

Se invece con Dio si intendesse tutto ciò che la Scienza non riesce ancora a spiegare, anzi, se si intendesse tutto, lo spiegato e l’inspiegabile, le leggi ed i misteri, i protoni, la materia oscura, queste parole, l’Amore, allora sì, credo in Dio. Ne faccio parte. Ne facciamo tutti parte. E abbiamo tutti l’occasione di viverlo, di vivere, di studiarne le leggi e leggerne il grande libro, di intervenire e modificare, inventare e creare… “ed è una possibilità per cui sono estremamente grato”.

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[1] Quando scrivo è il 7.02.0219. Vorrei cogliere l’occasione di ringraziare Olivia Levrini, amica, maestra, professoressa associata dell’ALMA MATER STUDIORUM nonché ambasciatrice di Bologna 2019 che, mentre scrivevo queste righe, mi ha supportato e sopportato

[2] Prima, dopo, ora – conferenza spettacolo sulla relatività ristretta

[3] Erroneamente chiamato “paradosso”

[4] Giordano Bruno

[5] Galileo Galilei

[6] Pauli, Bohr

[7] Isaac Newton

[8] Ed. Il Saggiatore – pag. 225 – 227

[9] Rizzoli editori, pag. 47 – 48

[10] Il buon vecchio rasoio di Occam…

[11] Le mie risposte alle grandi domande, S. Hawking – Rizzoli editori, pag. 92

[12] Ed. Oscar Saggi

8 commenti

  • Secondo me il vero problema sarebbe quello di valutare l’essere umano autocosciente quale autore e interprete del concetto di “avere fede”.
    Il vero errore per me infatti sarebbe quello della “autoreferenzialità” del pensiero umano, e forse del pensiero della intelligenza di un vivente, nel definire Fede, Dio, Scienza e altro.
    Il fatto è che tutti noi, inclusi tutti gli esseri viventi di cui attualmente abbiamo cognizione, abbiamo una “griglia mentale” predeterminata su base evolutiva per definire la realtà, noi stessi e in rapporto che ne deriva.
    Tale “griglia mentale”, in forme variamente abbozzate o evolute, si basa sul funzionamento biologico e fisiologico di organi deputati a determinare le scelte per la sopravvivenza.
    Da ciò deriva che tutti i viventi, per sopravvivere, devono acquisire “esperienza” di quella parte della realtà che è al di fuori della propria membrana, quella che divide l’essere da tutto il resto.
    Per sopravvivere bisogna riuscire a cercare e stabilire un equilibrio tra l’interno della membrana e l’esterno di essa, affinché l’essere vivente, unicellulare o pluricellulare, anche intelligente, possa sopravvivere quanto più a lungo possibile nelle condizioni di buona conservazione delle proprietà vitali, in attesa della “riproduzione” continua, che rinnova i presupposti di tale equilibrio.
    Da ciò deriva la necessità di conoscere l’esterno della propria membrana per favorire gli scambi energetici favorevoli e impedire quelli sfavorevoli.
    A ciò, in base all’evoluzione, hanno provveduto elementi biologoco deputati al riconoscimento chimico-fisico del mondo esterno alla membrana.

    In parole povere, parliamo di apprendimento e conoscenza.
    Molti elementi fondamentali, basilari di questa conoscenza, si portano dentro il vivente su base genetica, come un patrimonio essenziale minimo di partenza.
    Il resto della conoscenza si acquisisce nella esperienza di vita, valendosi però delle necessarie proprietà, capacità e predisposizioni a questo “apprendimento”.

    In definitiva, a parte gli elementi acquisiti e “memorizzati” nel proprio patrimonio genetico, fra i quali anche l’intelligenza, come elemento potenziale, ciò che conta è la capacità di memorizzare e saper utilizzare gli elementi esperienziali che si acquisiscono tramite l’apprendimento.

    Ed è sulla base di questi che l’essere finisce per avere “fede” nel saper determinare e compiere le proprie scelte.

    Se io percepisco una fonte di calore molto elevata, che minaccia di procurarmi dolore in modo istintivo, me ne allontano, perché “credo”, ho “fede” che altrimenti ne ricavo danno, dolore, sofferenza.
    Se io sento fame, e ravvedo una certa materia nelle vicinanze di cui ho il ricordo o la percezione istintiva che possa giovare a soddisfare il mio bisogno, essenziale per sopravvivere, cerco di procurarmela, perché “credo”, ho “fede” che possa giovarmi.

    Estrapolando questi semplici esempi a tutti i meccanismi di interazione fra l’essere e la realtà che lo circonda, ne deriva che l’essere sceglie, si muove, agisce sulla base dei propri “credo”, dei propri elementi di “fede” che gli suggeriscono ciò che c’è da fare e da non fare, cio che gli giova e ciò che gli porta nocumento.

    Quindi anche le emozioni, le paure ancestrali, le pulsioni, frutto di esperienze dirette e di retaggio genetico, vanno tutte nella stessa direzione.

    Semplicemente ci si regola sui propri “credo”, consapevoli o inconsapevoli.

    Per l’essere umano, in cui il livello di intelligenza gli permette di raggiungere alti gradi di astrazione, i propri vari “credo” spaziano anche su elementi di carattere astratto, utilizzando tutti gli elementi comuni a tutti i viventi, ma con un grado di logica, di analisi e di elaborazione molto elevati.

    Ecco quindi che il concetto di un Creatore in cui avere “fede” non poteva non tardare a determinarsi, prima o poi, quale figura astratta alla quale attribuire elementi che portano vantaggio alla necessità di trovare una spiegazione dell’esistenza propria e della realtà, che aiuti a governare questa realtà, a considerarla cioè configurata per le nostre necessità come valore positivo, tale da poterla dominare perché creata per noi.

    Creata per noi in quanto noi stessi, con la nostra intelligenza, ci sentiamo tali da poter esistere anche senza di essa, cioè al di fuori di essa, in quanto noi stessi entità astratte collegate direttamente al Creatore.

    Chiunque può comprendere tale “percorso” evolutivo del pensiero umano, rifacendosi alla soria delle religioni, alle prime esperienze culturali significative dell’essere intelligente chiamato “uomo”.

    La psicologia e altre scienze antropiche riescono a far comprendere la figura del padre genitore e della madre dispensatrice di benessere, figure che stanno già scritte nel patrimonio genetico e che si configurano attraverso l’ “imprinting” dei primi mesi e anni di vita dell’essere umano.

    Ma oltre alla “fede” nel padre Creatore, l’essere umano, a livello astratto, ha creato feticci di “fede” a carattere sostitutivo, come la fede politica, ideologica e scientifica.

    Purtroppo tutte queste “fedi”, si elevano al di fuori della realtà stessa, in quanto sono predisposizioni concettuali marchiate dentro il nostro cervello.

    Infatti, ad esempio, per una persona che riesca a sforzarsi di non cadere troppo facilmente nella trappola autoreferenziale antropologica, non è difficile comprendere che la “fede scientifica” è una parola, o meglio una definizione che racchiude una contraddizione insanabile.
    Infatti la conoscenza scientifica, che vorrebbe riscattarsi da ogni tipo di fede, dovrebbe costituire un insieme di valori che esulano completamente da ogni fede.

    A riprova di ciò basterebbe pensare che la conoscenza scientifica è in continua evoluzione, e che la “fede” nei principi e valori scientifici di duecento anni fa è oggi inadeguata perché quei principi e valori sono in larghissima misura totalmente ribaltati.

    Cioè il concetto di “fede”, assimiliato in astratto al concetto di “assoluto”, nel senso di “vero”, non può accordarsi razionalmente con la conoscenza oggettiva della realtà.

    In effetti ogni elemento di conoscenza, per ogni essere vivente, dovrebbe essere connesso al concetto di qualcosa su cui riporre una certa “credibilità”.

    Fra vari elementi di conoscenza, si privilegia cioè quello più credibile.
    Quando una preda deve sfuggire all’aggressione di un predatore, non ha una fede assoluta sulle mosse da attuare, ma sceglie di volta in volta il percorso, la forza di propulsione per la fuga, gli elementi diversivi di distrazione per il predatore, in modo da agire secondo il criterio di affidarsi, in tempi rapidissimi, a ciò che ha un maggiore grado di credibilità in ogni istante per effettuare una scelta continua.
    La stessa cosa vale per il predatore che insegue.

    La stessa cosa vale anche per l’uomo, quando agisce consapevolmente o inconsapevolmente, basandosi sul grado di maggiore o minore credibilità nelle scelte da effettuare.

    La “fede” in quanto tale sfugge al concetto di maggiore o minore credibilità, ed assume il senso dell’assoluto.
    La fede religiosa in fondo, nel presupporre l’esistenza di un Dio cosciente e partecipe della esistenza umana, si basa su valori assoluti, in cui la credibilità è tolate, anzi, non è nemmeno credibilità, ma “fede” assoluita, appunto.

    E questo vale anche in politica, in amore, in amicizia, nel tifo sportivo, eccetera, laddove si inquadrano i problemi a livello sempre più astratto, alla ricerca di paradigmi semplici o semplicistici, che offrano certezze spesso puerili.

    Ma una persona normale non toccherebbe mai la fiamma di un cannello del gas credendo per atto di fede che il suo Dio lo proteggerà spegnendo il fuoco, a meno di essere un alienato o un invasato.

    Ecco allora che giungo alla conoscenza scientifica.
    Nella conoscenza scientifica l’unico elemento di “fede” da assolvere è quello del “metodo”, non dei risultati.
    Il “metodo” deve essere quello scientifico, cioè quello per il quale, stabilite accuratamente le condizioni, chiunque può compiere una esperienza di conoscenza in maniera perfettamente equivalente agli altri, attraverso strumenti e misure di cui si dispone al momento, dirette e indirette, ma totalmente condivisibili.

    I risultati della conoscenza scientifica sono sempre temporanei, quelli del presente, ed essi hanno validità in quanto sono “più credibili” dei risultati precedenti, ma senza la certezza assoluta, il carisma, che essi siano definitivi.
    Sulla base dei risultati più recenti, noi esseri intelligenti, alla pari delle scelte rispettive di altri esseri meno intelligenti, possiamo formulare un insieme di previsioni più precise, più credibili, sulle quali investire nelle scelte, nella costruzione materiale del presente e del futuro, per combattere la sofferenza, la morte e per alzare lo sguardo oltre il livello delle “fognature”, in senso metaforico.

    Pertanto parlare di “fede” nella conoscenza scientifica e nei risultati di questa è per me una eresia.
    Io direi che la scienza ci offre le conoscenze più credibili per percorrere la via del progresso, ma che non ci dà niente di definitivo e di assoluto, almeno fino ad ora.

    Ragion per cui io, ad esempio me la rido (metaforicamente) di tutte le interpretazioni sulla teoria dei quanti, sulla base delle quali oggi si straparla e si pontifica, senza che nessuno sia in grado almeno di poter prevedere quale effettivo grado di credibilità si possa ragionevolmente attribuire a ciascuna di esse.

    Pertanto noi siamo come su una tavola da surf, trasportati sull’onda lunga della conoscenza, in attesa di nuovi orizzonti.
    E se nel frattempo possiamo utilizzare i risultati di tale conoscenza per migliorare il nostro tenore di vita, questo non ci deve far credere che sappiamo tutto e che possiamo avere “fede” in quello che oggi ci sembra vero in assoluto.

    L’uomo che faceva le previsioni del tempo meteorologico pensando al dio Eolo che soffiava l’aria fra le nuvole, sollevando venti e tempeste, agitando acquazzoni e uragani, è stato sorpassato, così come saranno sorpassati tutti coloro che oggi credono in molte delle nostre conoscenze scientifiche come se fossero definitive e assolute, facendone una fede.

    Ancora peggiori sono coloro che, come nel passato mescolavano Dei e fenomenologia della realtà, ancora oggi mescolano Dei e conoscenza scientifica, schiavi proprio della debolezza di dover ficcare la fede dappertutto, cioè di cercare l’eterno e immutabile in una realtà estremamente variabile, anche nelle sue leggi che gli attribuiamo, mentre l’uomo continua ad essere una creatura debole, fragile, bisognosa di certezze che ancora non riesce a sopravvivere senza una Fede, nella molteplicità dei suoi rappresentanti.

    Io non ho fede se non nel metodo, e vivo sperimentando ogni istante quale grado di credibilità devo attribuire alle mie conoscenze per effettuare ogni tipo di scelta esistenziale, comprese quelle della immaginazione e della fantasia.

    • federico benuzzi

      Rileggerò con calma… devo ragionarci… ma è la prima volta che vedo un commento più lungo dell’articolo commentato!

  • Stefano Marcellini

    Penso che molti siano convinti che, per uno scienziato, Dio rappresenti non dico un problema, ma comunque una presenza che in qualche modo possa condizionare il suo lavoro. Che sia credente, agnostico o ateo, ho l’impressione che la convinzione del pubblico sia che lo scienziato incroci incosciamente Dio molto spesso nella sua attività di ricerca.

    Niente di più sbagliato. Faccio il ricercatore come mestiere, e lavoro nel campo della fisica delle particelle. Frequento il Cern per lavoro, e ovviamente parlo con i miei colleghi. Posso affermare che MAI, assolutamente mai, ho sentito discorsi in cui la presenza (o l’assenza) di Dio toccasse anche solo di striscio il lavoro di ricerca. Conosco ricerctori credenti e ricercatori atei, ma mai ho percepito che le loro convinzioni in fatto di fede potesso condizionare o influenzare in qualche modo il loro lavoro di ricerca. Semplicemente gli scienziati quando parlano di scienza non parlano mai di Dio, sia che ci credano o che non ci credano.

    Penso che le esternazioni in materia da parte dei vari Dawkins, Zichichi, Hawking e il nostrano Odfreddi siano molto più dettate da desiderio di visibilità verso il pubblico, che da un reale loro problema/conflitto tra Dio e Scienza, e sono motivate dalla consapevolezza che menzonare Dio quando si parla di scienza fa sempre audience. E se devi vendere libri o farti chiamare in TV, tutto fa brodo.

  • Articolo molto interessante.
    Quindi i fisici possono credere o no in Dio, ma la vera Fede che li accomuna è quella verso le leggi della natura.

  • francesco giberti

    … ritengo che possa sembrare (ed è stata) una semplificazione, per dare spiegazioni del mondo fisico e dell’animo umano, ma sia piuttosto un intralcio, una inutile complicazione, far coesistere Dio e la Fisica scientifica.
    E’ uno sforzo non necessario e deviante dall’ obiettivo della conoscenza che la Fisica moderna persegue.
    Bisogna imporsi la sofferenza esistenziale di negare Dio, l’infinito e l’eterno per trovare l’amore e la bellezza della ricerca della verità scientifica, sempre parziale e finita per definizione.
    Per molti questo è insopportabile, è perciò necessaria una “educazione” (e-ducere = tirare fuori) al semplice, al bello e al relativo…. e poi la consolazione è grande !

  • Porsi la domanda se Dio esiste è fortemente inconcludente xché a questa domanda non potremo mai dare risposta certa. La domanda più prossima a questa e, secondo me, molto più sensata é perchè molti di noi hanno tanto bisogno di un Dio. Ecco. Dio come creazione umana, necessaria all’equilibrio psicologico ed esistenziale degli esseri umani. La mente produce Dio, non il contrario……

  • SONO IN ACCORDO, non saprei nemmeno definire l’antitesi DIO, NON DIO, ESSERE, NON ESSERE, mah, cosa sono … anima, mente, corpo, animale. vegetale, minerale, materia oscura, non riesco nemmeno a capire e definire l’infinito, però il dio antropomorfo mi fa ridere, come pure i vari + o – mistici riti religiosi ed i presunti esoterismi …. eppure senza di loro non si sarebbe creata civiltà ovvero se non avessimo fortemente inventato una ragione di vita strutturata su regole e sentimenti che grazie al supporto ontologico/metafisico di autogiustificava saremmo forse rimasti scimpanzé. …. ma forse sbaglio tutto …. va bene così … ho trenta milioni di anni meno della ginestra. NOI ESISTIAMO per CONTINUARE a studiare, forse è questa la nostra missione, chi non studia rapidamente si brutalizza e forse è felice, ovvero felicemente dominato …. NOI NO … andiamo avanti, DIO non DIO … bo! Prosaico e materialone rispondo be: acqua calda, servizi in casa, automobile, cibo a disposizione, pergolati per conversare, donne/uomini ben conservati, apprendimento facilitato che bello … per noi fortunati … certo i miei nonni coltivatori diretti avevano tutto il piccolo necessario genuino e costruito da loro, lavorando felici dall’alba al tramonto per offrirmi il latte appena munto, l’uovo uscito dalla gallina e la vera panna gialla …. CHE FATICA … non avevano bisogno di palestra PERO’ se si ammalavano era la rovina ….

  • Edoardo Egidio

    La concezione di Dio formulata da Kierkegard si concilia in qualche modo con il tuo pensiero?

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