Divulgare a teatro
5 Luglio 2022

Divulgare a teatro
Intervista a Federico Benuzzi. Professore, giocoliere, attore…e tanto altro!
L’efficacia pedagogica del teatro è sempre più riconosciuta e apprezzata e, in quest’ottica, trasformare la pratica occasionale del teatro nelle scuole in una disciplina obbligatoria a partire già dalle classi delle elementari sarebbe davvero una bella conquista, culturale ed umana.
la presente intervista, rilasciata ad Alessi de Pasquale (che ringrazio) e pubblicata su FARE l’insegnante nel numero di luglio 2022, è stata rilasciata ad inizio di quest’anno, mentre ancora non si capiva come sarebbe evoluta la pandemia…
Nei precedenti articoli mi sono anche soffermata su quanto (e come) gli strumenti dell’attore possano supportare e valorizzare il lavoro degli e delle insegnanti. E se il teatro fosse anche un potente mezzo divulgativo?
Per trattare e analizzare questo argomento ho intervistato Federico Benuzzi, giocoliere professionista, attore, laureato in Fisica, specializzato SSIS per l’insegnamento dal 2003 e da allora docente di matematica e fisica nei licei di Bologna. Ormai da diversi anni unisce assieme questi diversi mondi nel mestiere della divulgazione, dando vita a conferenze-spettacolo, lezioni teatralizzate e corsi di aggiornamento, oltre a diverse pubblicazioni; a tal proposito ricordiamo i due libri editi da Dedalo: “Lo spettacolo della fisica – capire la scienza con l’arte della giocoleria“ e “La legge del perdente – la matematica come vaccino contro l’azzardopatia“.
- Quando e come ti sei avvicinato al mondo del teatro?
Credo di essere sempre stato “un attore”. Ma un conto è la propensione a salire su di un palco, la voglia di esibirsi, un altro è studiare per farlo. Ho cominciato a fare spettacoli come giocoliere nel ’98, prima feste private e centri commerciali, poi sagre e fiere, feste aziendali e villaggi turistici, per arrivare ai palchi di teatri e festival. È stato un modo per mantenermi agli studi che si è trasformato velocemente in mestiere. E quando ho iniziato ad insegnare non ho smesso di esibirmi, portando avanti due mestieri che, tra l’altro, tanto hanno in comune. Poi, durante la SSIS (Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario), la proposta di lavorare su di uno spettacolo che parlasse di fisica e giocoleria, e così ho cominciato, senza saper neppure cosa fosse, a fare divulgazione.
L’anno dopo il debutto (05/05/05), mentre le date di Fisica sognante si moltiplicavano e prendevano il posto delle performance come giocoliere “puro”, ho partecipato a un workshop tenuto da Victor Kee (giocoliere del Cirque du Soleil) a Berlino: “estetica della giocoleria”, il tema trattato. Al termine della settimana di lavoro gli feci vedere il mio pezzo col diablo e la sua reazione fu entusiastica: “Vieni a fare il provino! Vedrai che ti prenderemo con noi”.

Sono i momenti in cui ti chiudi in casa e piangi. Non perché sei felice o triste. Semplicemente perché non sai chi sei. Partire col Cirque du Soleil sarebbe stato il massimo, per un giocoliere di 30 anni. Poi ho capito cosa volevo: a me non interessava andare in scena per ripetere, sempre uguale, una routine, alla ricerca di emozionare il pubblico attraverso la perfezione del gesto o il virtuosismo. Io volevo creare un rapporto, col mio pubblico. Passare dei messaggi. Creare un confronto.
La mia compagna dell’epoca disse che ero matto, ma se volevo quello allora dovevo formarmi come attore. A settembre ero iscritto ad una accademia (Scuola di teatro Colli, Bologna): 2 anni, 6 ore al giorno, 5 giorni a settimana. La mattina scuola, la sera teatro, il sabato e la domenica spettacoli. Un periodo intenso, faticosissimo ed estremamente felice. E da allora continuo a formarmi (soprattutto d’estate) e a studiare. A volte mi chiedo come ho fatto a vivere senza (il teatro) …
- Cosa ti piace e stimola di più del tuo lavoro di insegnante?
Dire “è il lavoro più bello del mondo” immagino non renda l’idea. Come tutti, ho avuto momenti (molto) difficili. Bene, in classe (e sul palco) stavo comunque bene. Una volta chiusa la porta, insieme agli alunni (o quando entravo in scena), tutta la pesantezza e la tristezza del mondo restavano fuori. Poi dall’aula si esce (e dal palco si scende), e i problemi tornano, ma lì… anche se la domanda non era se mi piace, ma perché.
Ciò che più mi stimola sono i ragazzi quando “non ho capito”: trovare strade altre, nuovi esempi, riflessioni in più per aiutarli a comprendere è una sfida bellissima e stimolante… e quando finalmente vedi quella luce nei loro occhi che vuol dire “cavoli, ecco perché!” allora tutto ha senso.
E poi mi sembra, insegnando (e divulgando) di fare qualcosa di (estremamente) utile. Di seminare. E questo è importante.
- Perché è efficace la divulgazione teatrale?
Innanzitutto mettiamo un punto fermo: è efficace. Molto. Qualche anno fa ero in un istituto professionale del fiorentino: performance finita da ormai 20 minuti, stavo rispondendo alle domande quando… suona la campana dell’intervallo! Era due ore che “mi sopportavano” e… non si è alzato nessuno. La scienza è splendida, purtroppo a volte è di difficile comprensione. La sfida della divulgazione (rendere comprensibili e interessanti tematiche che sarebbero “per esperti”) è stupenda. L’importante è parlare solo di cose che si sanno (troppo spesso mi capita di incontrare in TV o sui social divulgatori trasformarsi in opinionisti e tuttologi) e di ragionare bene su modi, tempi, registri. Il teatro serve a quello. A dare una forma ai contenuti. Ed è una forma che il pubblico apprezza.

- Fare teatro nelle scuole è utile? Perché?
Tengo corsi di teatro nelle scuole (pomeridiani e facoltativi) da quando ho finito l’accademia. Vi faccio tre esempi, deducete voi la risposta.
In questi anni ho visto ragazzi taciturni diventare sicuri della loro voce, timidi aprirsi, iperattivi darsi contegno e ragazzi con problematiche certificate riuscire a star dentro a esercizi complessi (un esempio può essere l’8-8. In questo esercizio il regista batte un ritmo con le mani mentre conta ripetutamente sino a 8 e richiede al gruppo di fare 8 tempi camminando in direzioni casuali e 8 tempi immobili. L’importante è che tutti si muovano o restino fermi assieme e “col giusto ritmo”, anche quando smette prima di contare e poi di battere le mani).
Uno dei complimenti più grandi ricevuti quando, ragazzi usciti dal liceo e entranti nel mondo del lavoro o all’università, continuano a frequentare le lezioni per altri uno o due anni come “esterni”. Fra tutti ricordo Misa (nome di fantasia), che veniva da Padova (dove frequentava il primo anno di università) “solo” per le due ore del mercoledì.
Una delle soddisfazioni più grandi vedere una ragazza con una certificazione “importante” capace di vivere lo spettacolo (di un’ora e con ingressi e uscite da dietro le quinte) in completa autonomia.
- Cosa hanno in comune il mestiere dell’attore e quello del professore?
“Il buon insegnamento è per un quarto preparazione e tre quarti teatro”, scriveva Galileo. Mai frase sulla didattica mi trovò più d’accordo.
Non tanto perché l’interesse del pubblico, così come quello degli studenti, sia da conquistare e ravvivare continuamente (sig!), quanto, piuttosto, perché entrambi i mestieri condividono gli stessi strumenti comunicativi: la voce, il corpo, l’improvvisazione.
Con voce intendo l’appoggio sul diaframma (sia per non perdere la voce che per non dover urlare per farsi sentire), la capacità di articolare, la corretta dizione (che non vuol dire spogliarsi, mentre si insegna, delle proprie origini, ma impedir loro che diventino motivo di distrazione), l’uso di diversi registri (perché una voce monotòna non si può sentire!) e quello di pause e silenzi.
Poi c’è il corpo e la gestualità (che deve essere coerente con quanto si vuol dire e, soprattutto, non sovrabbondante), lo sguardo periferico (utilissimo per seguire la classe o gli altri attori mentre si guarda altro), il come muoversi nello spazio (per essere, per esempio, inclusivi).
E infine a scuola come in teatro si deve essere capaci di improvvisare. Cambiare velocemente obiettivo, prospettiva, registro, per cogliere tutte le possibilità ampliando le potenzialità di un discorso, una domanda, un’intuizione il più possibile.
Bene, tutte questi strumenti e molti altri ancora sono sviluppati all’interno di percorsi teatrali. Non parlo di imparare a far le “recite” che si facevano alle elementari. Mi riferisco a veri e propri corsi di approfondimento che ruotino attorno alla vocalità, al movimento espressivo, all’immedesimazione e alla recitazione. Sono strumenti che tutti gli insegnanti dovrebbero avere e saper usare e, per quanto si sia bravi o dotati, non si ha mai finito di imparare!
Quindi, permettetemi, consiglierei a tutti i colleghi (a tutti, in realtà), un corso (di aggiornamento) teatrale. E mi sento di consigliarlo con forza perché ha cambiato enormemente (e in meglio!) il mio modo di stare in classe.
- Arte e scienza: due mondi compatibili?
Assolutamente sì! E con molti più punti di contatto di quanti non si creda. Da un lato l’una può aiutare ad apprezzare o comprendere meglio l’altra (aiutando a spiegare come certe cose siano possibili, ragionando sui perché, diventando metafora o esempio, fornendo potentissime analogie, prestando un linguaggio o uno sguardo diverso, …), dall’altro dal contatto e dal mescolarsi dei due mondi possono nascere (e sono nate) cose bellissime. Si pensi solo al lavoro di Escher.
Alcuni anni fa ho scritto un contributo per un libro edito da Il Saggiatore: Terza cultura in cui parlavo proprio dell’esigenza di superare la divisione tra prima e seconda cultura, tra cultura umanistica e scientifica, per diventare cittadini migliori e più pronti a capire e vivere la complessità del mondo di oggi. La situazione pandemica, negli ultimi due anni, penso abbia chiarito ancor di più quanto siano necessarie competenze trasversali e in entrambi i campi, per capire il mondo.
- Progetti per il futuro
Mi sono riproposto di “produrre” un lavoro nuovo ogni anno (mediamente mi servono tra i 6 e i 12 mesi per creare qualcosa di inedito, tra la raccolta fonti, lo studio, la scelta di cosa raccontare, la costruzione del testo e la preparazione per andare in scena), ma la pandemia mi ha regalato molto più tempo di quello a cui ero abituato. E chi ha tempo…a marzo scorso ho debuttato un lavoro nuovo ancora su fisica e giocoleria e adatto allo streaming (La fisica dei giocolieri) e uno sul (la fisica del) riscaldamento globale (Problema globale) e in questi giorni debutto con due nuovi lavori sulle bufale scientifiche (Fake, di bufale si muore e Girotondo Ufo). Sarò anche direttore di un corso riconosciuto dal MIUR e presto su SOFIA sul riscaldamento globale… Poi penso che mi riposerò un po’.
